lunedì 2 giugno 2014

Blog Tour di "Il Giardino degli Aranci - Il Mondo di Nebbia" di Ilaria Pasqua, con Giveaway! TERZA TAPPA


L’incubo di Will prendeva la forma di un serpente, e questo l’aveva frenata, come se quella forma la facesse pensare male di lui. In un certo senso credeva istintivamente che gli incubi prendessero la forma dell’anima della persona, perché provenivano dalla profondità di sé, attingevano dal loro buio, da quell’inconscio incompreso. Aria ne era quasi convinta e non riusciva a scacciare quella sensazione. Se quel ragazzo si portava dietro dei serpenti, beh lei non voleva averci niente a che fare. E per questo non si avvicinava. Eppure scacciava quell’idea, perché avrebbe dovuto ammettere che la forma della sua anima fosse quella somigliante a un procione spelacchiato e dall’aria cattiva, per giunta. Non che gli altri incubi avessero un aspetto migliore, erano tutti bui, cattivi. Gli incubi lo sono per natura. E per questo bisognava discostarsene. Mentre rifletteva su questo, Aria era sempre più vicina a quella cupola trasparente in cui avrebbe scaricato il suo incubo. Era una struttura piccola, alta neanche due metri. Da ogni parte si aprivano delle fessure circolari che correvano tutt’intorno e la stringevano come una collana.
Nel frattempo, un ragazzo dai lunghi capelli biondi nascosti sotto a un cappuccio blu, si fece spazio tra la folla, camminando in diagonale. Aria si ritrasse, così come fecero tutti gli altri. Il pensiero che i loro incubi potessero incrociarsi li terrorizzava.
Il ragazzo, che sembrava fissare proprio lei, si avvicinava sempre di più, fino a che d’impulso si affiancò ad Henry. Il ragazzo non distolse lo sguardo da lei neanche un secondo, in un attimo incrociò Aria e le diede una forte spallata, facendola quasi cadere, poi le lanciò un’ultima occhiata e scappò via confondendosi tra la gente. In quel momento altre due persone, qualche fila più avanti, si erano allontanate deviando verso la direzione del ragazzo.
Henry sorresse l’amica tenendola per il braccio. Notò quanto la ragazza si fosse fatta pallida. Aria aveva sentito una piccola scossa al loro scontro. Il ragazzo era trasalito e l’aveva guardata negli occhi come se avesse voluto strapparglieli.
“Non aveva nessun incubo con sé” disse Henry per tranquillizzarla, ma lei continuava a tremare; solo in quei momenti notava la fragilità di Aria, sempre molto sicura e intraprendente. Di scontrarsi con gli incubi aveva disperatamente paura. E anche del suo incubo aveva paura.
“È venuto dritto qui” disse Aria cercando di riprendere la calma.
“Come?” chiese Henry senza capire.
“L’ho visto da lontano, mi fissava e l’ha fatto di proposito” spiegò lei staccandosi dall’amico e infilando le mani nelle tasche della giacca. Si guardò intorno per vedere se qualcun altro ci avesse fatto caso. Cercò di carpire dai visi degli altri qualche informazione, ma tutti tiravano dritto, con lo sguardo fisso verso le cupole.
Intanto era trascorso poco da quando era uscita in strada, almeno così le sembrò, visto che il tempo in quella città era una cosa relativa. Non si era mai sicuri del suo controllo, o non lo si era abbastanza.
“Ma figurati” ridacchiò lui. “Niente paranoie, dai. Non aveva incubi, comunque. E mi pare che tu non abbia vomitato. Sei sempre tu” disse lui sorridendo dolcemente, poi le tirò indietro i capelli neri con il dorso della mano, senza resistere, e tornò a fissare davanti a sé serio. L’espressione stupita e infastidita di Aria era stata un colpo al cuore.
“Ci siamo quasi” disse Aria per alleggerire l’atmosfera silenziosa.
Una parte della folla proseguì verso i successivi punti di raccolta, mentre quella che rimase ferma si separò in due. Aria andò verso la cupoletta di destra e così fece Henry.
La gente si sistemava tutt’intorno alla struttura circolare, aspettando che uno dei distruttori fosse libero, venivano chiamati così quei cilindri trasparenti in cui andava inserito l’incubo. Erano delle provette piuttosto alte, che facevano assomigliare quella struttura a una torta charlotte. Ad Aria veniva l’acquolina in bocca solo al pensiero. Aveva una gran fame e si tastò lo stomaco che borbottava. Se fosse riuscita a svegliarsi prima la mattina questo non sarebbe accaduto, avrebbe tutto il tempo di imburrare più di una fetta biscottata, masticarla senza trangugiare e strozzarsi, magari proseguire con latte e cereali senza essere costretta a scegliere. E sarebbe persino riuscita a evitare le battutine di sua madre.
“Fra poco ci andiamo a prendere qualcosa da mangiare, che ne dici?” chiese Henry che conosceva l’appetito dell’amica, stomaco brontolone o meno. E in tutta risposta Aria emise un sonoro sì, e aggiunse: “Mangerei un bisonte”.
“O un procione” disse l’amico e scoppiò a ridere mentre alcune persone si voltarono.
“Spiritoso” disse Aria senza voltarsi verso il suo incubo. Lo sentiva ansimare sul collo. Sentiva che era lì, come se avesse al piede una catena e stesse trascinando una palla di ferro. Ormai la gente si era abituata a quelle presenze, ma a lei la sensazione di quel peso rimaneva.
Aria si avvicinò alla provetta e prese quel maledetto procione in mano. Solo il suo sognatore poteva farlo. Solo per loro, al tatto, quell’essere non era intangibile e fatto di fumo, eppure nessuno lo prendeva tra le dita, se non in quel momento. A contatto con la pelle del suo sognatore, l’incubo sembrava assumere forma.
Aria infilò il procione nella capsula cilindrica in cui un turbine potente di aria lo aspirò. Lo stesso fece Henry.
Aria si sgranchì la schiena alzando al cielo le braccia. “Oh, finalmente”.
Anche Henry sembrava più sollevato. Aria si voltò più volte, mentre cercava un punto da cui poter prendere fiato, libera dal respiro della gente che ancora sentiva addosso.
Ogni mattina era un piacere scrollarsi di quel peso, ma quella sensazione non resisteva a lungo, quel sollievo era di breve durata.
Il distacco da quella parte di sé si faceva sempre più fastidioso per Aria e le lasciava dentro una sorta di vuoto che si allargava pian piano, come una voragine nello stomaco. La ragazza si sentiva comunque prigioniera della quotidianità di quel mondo, percepiva la subordinazione, eppure non sapeva che ricondurla a quelle noiose giornate e non a qualcosa di più grande.
Alla privazione che ognuno di loro, senza saperlo, subiva, ogni giorno.
“Che fai lì imbambolata?” chiese Henry alla ragazza, che se ne stava immobile a fissare il grande orologio ad acqua della città.
“Niente. Non hai l’impressione a volte di girare a vuoto?” domandò immersa in un pensiero.
“Come? Ci risiamo ancora.” disse lui sprezzante “Non ti andava di mangiare qualcosa?”
Lei sbuffò e arresa disse: “Sì”. Poi tornò con gli occhi sull’orologio.
“Andiamo.” fece Henry e le toccò la spalla “Possiamo fare un salto in caffetteria ma dobbiamo sbrigarci”.
Insieme passarono sotto il grande orologio ad acqua della città, rotto da ormai tanto tempo.


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In bocca al lupo!


Calendario

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26-01 giugno: Devo andare a leggere

02-08 giugno: Tappa attuale


16-22 giugno: Giardino delle Rose


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07-13 luglio: Gilly in Booksland


21-27 luglio: I Libri di Lo 

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