sabato 5 aprile 2014

Recensione: Diario delle solitudini

Finalmente una nuova recensione! Non ero sicura del mio giudizio, ma alla fine mi sono lasciata trasportare dai miei pensieri. Anche se breve, spero che la recensione sia esaustiva. 

Titolo: Diario delle solitudini
Autore: Fausta Garavini
Editore: Bompiani
Collana: Letteraria italiana
Pagine: 182
Prezzo: 15,50 €

Sinossi:
Un fotoreporter che ha subìto un grave incidente, per ritrovare il proprio equilibrio ha preso in affitto una antica villa in mezzo alla laguna, visitato saltuariamente dall’unico suo contatto con il mondo, Norberto.
Ben presto, però, la grande casa in cui si trova a vivere da solo, comincia ad animarsi e ad animare il suo desiderio di conoscerne la storia e la storia di chi l’ha abitata. Osserva le tracce del passato, quadri, suppellettili, mobili, e scopre lettere, fotografie, ritagli di giornale, in cui si riaffaccia la vicenda di una famiglia investita dal destino: Rodolfo, sposato ad Amanda e padre di Alvise; e Gualtiero, sposato a Matilde e padre di Lavinia. Rodolfo è un imprenditore, un Cavaliere, mentre Gualtiero è un artista. Le loro voci, e quelle delle mogli e dei figli, gettano il curioso abitante della misteriosa casa avvolta nelle brume in un passato lontano, dove si avvertono i rintocchi della storia del Novecento, le pulsioni di giovani cuori colmi di speranze e delusioni, amori e tradimenti.
E tra quelle voci e quelle storie lo colpisce e lo affascina quella dell’amore tra Lavinia e il giovane Alvise, la cui tomba, incongruamente, è assente dal piccolo cimitero di famiglia.
È Norberto a custodire il mistero di quell’assenza e di quell’amore che neppure il Diario delle solitudini può rivelargli.

Fausta Garavini, studiosa di letteratura francese e occitanica, traduttrice e scrittrice, ha insegnato alla Facoltà di Lettere di Firenze. È autrice della traduzione integrale dei Saggi di Montaigne (1966, nuova edizione Bompiani 2012) e di numerosi lavori critici fra cui L’Empèri dóu Soulèu (1967), I sette colori del romanzo (1973), Il paese delle finzioni (1978), La casa dei giochi (1980), Parigi e provincia (1990), Mostri e chimere (1991). Redattrice di “Paragone-Letteratura” dal 1972, ha pubblicato diversi racconti in rivista. Fra i suoi romanzi, Gli occhi dei pavoni (1979), Diletta Costanza (1996), Uffizio delle tenebre (1998), In nome dell’Imperatore (2008). Presso Bompiani ha pubblicato Diario delle solitudini (2011) e Storie di donne (2012).


Recensione
«Cercare di possedere la casa d’altri è quasi cercare di possederne l’anima, alla lunga una casa prende la fisionomia e forse il pensiero di chi ci viveva».

Una grande e antica casa abbandonata, circondata dal verde e da una piccola isoletta, un uomo, solo, ed un segreto.
Inizio ideale per un classico thriller ricco di suspense, di colpi di scena e morti misteriose.
In realtà il libro che presento, oltre all'ambientazione, non ha niente a che vedere col genere. È la storia di una famiglia, della famiglia che ha abitato la casa, la “Turchina”.
La narrazione è divisa in due parti. Durante la lettura, però, ho trovato delle differenze importanti che mi spingono a considerare la storia suddivisa in tre parti. All’inizio il protagonista, il fotoreporter, cerca in tutti i modi di non pensare al passato, all’incidente, a ciò che lo ha portato alla Turchina costringendosi a tenere un diario per occupare la mente, mentre nella seconda parte è come se prendesse consapevolezza degli eventi, li accettasse e, di conseguenza, li lasciasse uscire liberamente dalla sua memoria per affrontarli, affrontare il dolore. «Do l’impressione di essere imprigionato, murato dentro il mio io, dietro una maschera che mi separa dall'esterno»
Il vero punto focale del libro, però, è la storia dei personaggi che hanno abitato la casa: facciamo la conoscenza di Gualtiero, Rodolfo, Alvise, Amanda, Matilde e Lavinia. 
Ben presto il protagonista, di cui abbiamo solo alcuni elementi fisici, sente un richiamo, un forte desiderio di conoscere, sapere. Osserva con scrupolosa attenzione i mobili, i quadri, la luce che penetra dalle finestre. Cerca qualsiasi cosa che possa raccontargli della famiglia, della loro storia. Si sente parte di loro, si immedesima con Alvise, soffre per la storia d’amore tra Alvise e Lavinia, rivede suo padre nella figura di Rodolfo. Inventa una storia. La scrittrice ci riporta, nella parte centrale del libro, alcuni pensieri dei diversi personaggi, per farceli conoscere davvero, per riportarci in un tempo passato che diversamente potremmo conoscere. E come il fotoreporter, anche noi tentiamo di rimettere insieme i pezzi di un puzzle.
Il finale non è stato dei migliori: da una parte mi è sembrato banale e dall'altra mi ha dato l’idea di un qualcosa di non finito, di un dubbio non risolto.
Nonostante la bravura della Garavini nel descrivere l’ambientazione e gli stati d’animo, in modo eccessivo in alcuni casi, e tralasciando il suo stile troppo articolato, vicino, secondo me, alla poesia, la storia non mi ha coinvolta molto. Non mi è chiaro l’intento dell’autrice; l’opera mi appare come un insieme di generi: gotico, romantico, storico, introspettivo, purtroppo mal amalgamati tra di loro.  
Voto: 

Che ne pensate? Qualcuno lo ha letto? :)

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